sabato 10 agosto 2013

THE BEST OF GabTheKangaroo


Ecco, a grande richiesta e in primo piano, quali sono stati i post più letti di questa piccola grande avventura.


Al terzo posto si classificano i post dei 52 giorni di pesca dei gamberi sulla Angelina Star (in Maggio).
Nel lato suo lato più poetico:
Ai confini del mondo http://gabthekangaroo.blogspot.it/2013/05/ai-confini-del-mondo_1.html

E nel suo lato tecnico-pratico:
Manuale pratico di pesca del gambero: http://gabthekangaroo.blogspot.it/2013/04/manuale-pratico-di-pesca-del-gambero.html



Al secondo posto il dolce e romantico incontro con la pazzia a San Valentino (In Febbraio).
My funny valentine http://gabthekangaroo.blogspot.it/2013/02/my-funny-valentine.html



E al primo posto, dulcis in fundo, lo stop-over nella slanciatissima Hong Kong e "la morale" della storia che potete trovare qui subito sotto.


Grazie a tutti quelli che sono stati miei compagni di viaggio con e nella loro fantasia.

GabtheKangaroo

domenica 7 luglio 2013

Ho le vertigini nel tornare a Nord. Tutta colpa di Hong Kong


Forse è per non sfigurare davanti al quasi omonimo King Kong, o più probabilmente perché in quest’area del mondo così immensamente popolata c’è la necessità di incastrare più persone nel minor spazio possibile, non lo so perché tutte queste persone abbiano iniziato a cercare spazio su quest’isola, ma oggi Hong Kong appare come una metropoli spettacolarmente gigantescamente “watussiana”.
Finora pensavo che certe città e costruzioni si potessero solo progettare coi mattoncini della Lego, e invece oggi, mentre l’autobus a due piani numero 6 si arrampicava sulle colline dell’isola, davanti a me è apparsa una varietà impressionante di grattacieli di altezza media di 30-35 piani, di ogni forma, colore, dimensione e materiale. Tra questi fanno terribilmente impressione i numerosi pannelli verticali di 50 piani, quasi bidimensionali, che non si capisce bene come riescano a trovare il baricentro e la forza per stare in piedi e che spuntano continuamente nel profilo dello skyline, nel tentativo disperato non solo di salvare spazio sulla terra, ma anche per aria.
Dai veri e propri fantasmi tra le nuvole nella pioggia delle 6 di Domenica mattina della periferia al firmamento di luci della sera (in seria competizione con la via lattea) nello stretto tra l’isola di Hong Kong e Kowloon, i grattacieli di Hong Kong sono veramente qualcosa di impressionante che, anche grazie all’aria condizionata a livelli esagerati dei posti pubblici, rischia di lasciare paralizzato il collo all’insù.
La ricercata verticalità diventa, però, abbastanza divertente quando si osservano passare i cortissimi tram a due piani su Queen’s Road Central.
Mentre è in corso l’allestimento per la serata della moda asiatica e per le celebrazioni della comunità filippina dell’isola, il divertimento delle 8.30 della domenica, è quello di sedersi comodamente ai bordi di un campetto di calcio e osservare divertito il tipico match scapoli-ammogliati, prima di uccidere i propri polpacci e le proprie ginocchia sulle salite e discese delle strade e dei marciapiedi multilivello della città. Quando poi i nuvoloni neri coprono improvvisamente il cielo,  alle cinque del pomeriggio, se le macchine potessero già volare, sembrerebbe di essere in mezzo al set di Blade runner.

Hong Kong merita veramente una visita, anche in giornata, come è capitato a me in questo stopover tra l’Australia e l’Italia.
Dopo più di 340 giorni e 95 posts sul blog si torna a casa, con molte lacrime e tanti punti interrogativi sul futuro, ma nella certezza che finito un viaggio ne inizia subito un altro. Quando un viaggio, infondo, cambia radicalmente la prospettiva sul mondo e su te stesso come è stato per me, tornare a casa è assolutamente ed esattamente classificabile come un altro viaggio, pieno di interrogativi e di nuove scoperte.
Nella mente, durante l’eterno volo verso casa, passano fotografie di chilometri e di angoli, di folle e di sguardi, di mesi e di istanti.
Ho imparato a fare un cappuccino, a condurre i pascoli, a marchiare i vitelli, come funziona l’industria della carne, dell’ippica, dei gamberi e ad andare sott’acqua come sub; mi sono buttato da un aereoplano, ho guidato un camper veramente hippy per 4000 chilometri, ho visto il 2013 prima di tutti i miei amici, ho finalmente vissuto da solo; ho passato 2 mesi nell’oceano, ho cavalcato al galoppo e ho guidato una moto a marce e un quad per la prima volta. Ho guidato un motorino per 200 chilometri sulle montagne, ho surfato un’onda, ho vissuto una tempesta tropicale, ho nuotato di fianco all’animale più grande dell’oceano e anche con gli squali. E nella famosa “lista delle cose da fare prima di morire” ( My Bucket list), come gran finale posso anche aggiungere un’ultima chicca: ho dormito all’Hilton Hotel. Un piccolo lusso che però dopo un anno di ostelli e di letti scomodi ( a parte la mia meravigliosa camera in Yarraman Park) si apprezza quasi come la vittoria della lotteria e che io e Alina, nonostante la febbre, mal di gola, mal di pancia e via dicendo, ci siamo voluti concedere come ultimo ricordo di un viaggio assolutamente indimenticabile.
So che è abbastanza stupido, ma arrivare con il proprio backpack alla reception dell’Hilton, fa il suo effetto e attira abbastanza l’attenzione.
Ma dall’altra parte questo è il destino di noi V.I.B. (very important backpacker).

L’ultima notte a Sydney, nell’Hilton, per noi è stata speciale, ma guardando dalla finestra del 25 piano la città andare a dormire come ogni notte e poi risvegliarsi come ogni mattina, mi ha fatto trovare la giusta morale per chiudere questo racconto:

“Ciò che è speciale è perché lo è per te. Dipingi il tuo mondo con il tuo unico, personale e irripetibile tocco e poi guarda il tuo quadro. Può essere oggettivamente il più brutto dell’universo, ma se a te piace allora è perfetto. E se piace a te, basterà la luce dei tuoi occhi per farlo apparire meraviglioso anche agli altri. E allora non c’è vergogna, giudizio o ansia. C’è solo un enorme e meraviglioso sorriso”.

giovedì 4 luglio 2013

I migliori in un inverno senza Natale


Melborune non ha lo spettacolo dell’Harbour di Sydney e delle spiagge di Bondi o Manly, questo è vero, ma tra le vetrate dei grattacieli che continuano a salire tutto sembra meno caotico e più rilassato nelle immagini che scorrono sui finestrini del tram numero 35, che prosegue lento il suo incedere sulle rotaie nel mezzo delle ampie vie del CBD.  Servizio gratuito, come anche l’autobus con tanto di guida turistica e fermate nei punti più interessanti della città: lo stadio da 100.000 posti ove si svolgono i famosi Australian Open, l’immancabile giardino del bellissimo Botanical Garden (un classico dell’urbanistica australiana), Little italy, il nuovo outlet della zona del porto fluviale e il tradizionale mercato popolare del Queen Victoria Markets.
Melbourne è l’esempio lampante della vincente politica turistica “down under”. Priva di attrazioni e peculiarità naturali, tutto viene venduto come “magnifico”, tutto viene organizzato in modo da catturare sempre più persone, dal dilagante melting-pot di cui la cittadinanza va fiera ( anche se da molte prospettiva sembra giorno dopo giorno sempre più una colonia cinese), nello spirito sempre del “noi siamo i migliori al mondo e abbiamo la terra più bella del mondo”. E’ un trucco che dopo 11 mesi passati quaggiù diventa sempre più prevedibile, come il centesimo spettacolo dello stesso prestigiatore, e che rischia di diventare abbastanza ridondante. Ma, resta il fatto, che c’è da togliersi il cappello quando una città che ospita già il gran premio di formula 1, l’Open di tennis, le finali nazionali di Football e Rugby australiano, la Melbourne Cup, si imbarca nel progetto della costruzione dell’osservatorio astronomico e planetario più grande del mondo che secondo i calcoli dovrebbe essere richiamo per un altro milioni di visitatori ogni anno.
Nella politica del “siamo i migliori” rientra anche la pubblicità sulla Great Ocean Road, i 200 km di strada “più famosi d’Australia” nonché la “costa più spettacolare del mondo”.
Partendo dal fatto che su 200 chilometri probabilmente neanche 100 sono sull’oceano, c’è però da dire che le curve d’asfalto arrampicate sulla roccia a strapiombo sulle onde spumeggianti del mare sono veramente qualcosa da provare e una piccola perla aggiunta ad un continente che non finisce mai di stupire per la varietà di paesaggi.
Ci sono poi i 12 Apostoli e le rocce della Baia dei Martiri, enormi braccia di pietra che spuntano dal mare, piccolo capolavoro dell’erosione che ha distrutto i ponti con le pareti di roccia della costa, lasciando queste enormi stalattiti come naufraghi in balia delle onde.
Nonostante la bellezza resa più godibile dal campervan a 5 stelle che abbiamo avuto la fortuna di “rilocare” da Melbourne a Sydney per soli 5 dollari al giorno (viaggiare con le compagnie di Relocation cars and campervan è molto conveniente), mi astengo dal commentare il grado di spettacolarità su scala mondiale, ma penso assolutamente che sia un “must see” per chi ha la fortuna di volare quaggiù dall’altra parte del globo.
In questi 11 mesi di blog mi sono misurato spesso con l’impossibilità della lingua di descrivere a pieno bellissimi paesaggi o esperienze. Sono certo che una certa pigrizia e una sempre più scarsa abitudine all’uso quotidiano della lingua italiana mi impediscono di trovare un aggettivo più specifico e soddisfacente di “strano” per descrivere questo inverno australe, dove si sente la mancanza del Natale, delle sue luci, delle sue bancarelle, della sua atmosfera.
E’ vero, anche qui hanno le scuole chiudono e le famiglie vanno in vacanza, molti vanno a sciare sulle piste delle Snowy Mountain (qui non si fanno tanti giri di parole per nominare le cose) o a Queenstown, in Nuova Zelanda, a Melbourne c’è un piccolo albero di fili elettrici che si illumina a ritmo con le voci dei cori che ogni sera gli cantano intorno, ma l’inverno, qui, è sicuramente più ”buio”. Questo forse è un aggettivo più interessante per le sue varie sfumature semantiche.

E Adelaide?
Adelaide, la capitale del South Australia, non è una grande città. Ti sorprendi quando il GPS dice che il centro città è a circa 7 chilometri e stai percorrendo ancora una strada a tre corsie tra le rocce delle montagne con nessuna casa attorno. Qualcuno la definisce “noiosa” e probabilmente non è il posto migliore in Australia dove poter trovare molta azione. Una cittadina tranquilla che non diresti mai arrivi a contare più di un milione di abitanti.
Come Melbourne sorge a pochi passi dal mare, sulle rive del fiume e come a Melbourne anche qui si lavora per costruire lo stadio migliore o per mantenere il titolo conquistato nel 2011 di “miglior aeroporto d’Australia”.
A 750 chilometri di distanza, non è poi cambiato infondo così tanto…

giovedì 27 giugno 2013

Motorini e Business


Ci sono esperienze che non si dimenticano, una di queste è sicuramente imparare a guidare un motorino “alla balinese”, nella vera giungla dell’isola: il traffico dell’area di Kuta e Denpasar.
Colonne infinite di auto e camion, corsie singole a imbuto dove il senso unico è solo per i mezzi a quattro ruote, motorini impazziti che di destreggiano tra le buche dei marciapiedi, le radici degli alberi che affiorano nell’asfalto, superando a destra e a sinistra, e se la fisica lo consentisse, sopra e sotto. Anche se dovevamo percorrere più di 200 chilometri ne è davvero valsa la pena noleggiare un motorino piuttosto che una macchina:lo stress ci avrebbe ucciso dopo soli 5 km, soprattutto dopo essere stati abituati alle desolate e infinite strade della West Coast australiana. Ma il sudore e la fatica sono presto ricompensati: superata la zona critica, nel centro dell’isola si sale sulle montagne dello spettacolare sistema vulcanico di Bali, e tra i tornanti e le curve inizia il divertimento sotto un cielo che a poco a poco si incupisce di nuvole nere ed acquazzoni, dando al viaggio una sfumatura quasi epica.
Tra Laghi, cascate, acque termali e paesini dispersi qua e là, le gradinate delle meravigliose risaie smeraldo si intervallano alla giungla selvaggia, rendendo quasi impossibile tenere gli occhi fissi su una strada che appare miracolosamente pian piano liberarsi di tutto il traffico e lasciarsi godere “a manetta” a 60-70 allora, staccando come il Valentino Rossi di una volta mentre nella testa, dal nulla, il pernacchiare del motore si trasforma nel riff di Born to be Wild.

Finché si guida, però, si ha il totale controllo della situazione. La parte veramente scioccante è
stare seduto come passeggero dietro ad un balinese che guida la moto!
E’ stato quando ho trovato finalmente il posto dove potermi fare i dreadlocks che l’avventura è cominciata, quando su Poppies Lane II, una delle piccole stradine piene di bancarelle nel centro di Kuta-Legian, ho trovato il bar Rainbow Cafè e il suo parrucchiere Boggie (il suo nome non era propriamente questo, ma qualcosa del genere).
Fare i capelli “rasta” è una cosa che richiede molto tempo (3 ore e mezza abbastanza simpatiche di continuo “essere tirato per i capelli”) e così Boggie mi ha guidato verso casa sua, una piccola stanza spoglia dalle pareti azzurre e dai lenzuoli verde oliva che ricoprono il materasso accasciato direttamente sul pavimento.
Una stanza come questa, nella zona “turistica”, può arrivare a costare sui 100 dollari al mese, con già incluso l’arredamento, ma non i fornelli per la cucina.
In realtà Boggie non è originario dell’isola, ma di Java. Dopo aver vissuto per 9 anni in Giappone, dove ha imparato l’arte dei dreadlocks da un maestro giapponese, uno americano e uno tedesco, si è trasferito a Kuta circa 8 anni fa. Bali è il maggior centro turistico in Indonesia e  riscrivendo le parole dell’inglese stentato degli abitanti con cui abbiamo avuto la fortuna di parlare, “Good Business, good business”. Boggie non è solo un dreadlocks-maker, è manager di due bands, ricercatore di locations per film e produttore/esportatore di magliette in società con una piccola sartoria.
La vita è sicuramente un po’ più facile per chi ha ereditato dalla propria famiglia i terreni dell’isola. Al giorno d’oggi ciò che valeva 1 negli anni ’60 vale probabilmente 100 e i prezzi soprattutto al sud continuano a crescere e crescere di anno in anno.
Volete vivere abbastanza agiati in una bella isola tropicale per tutta la vita?
Benissimo. Vi servono circa 40.000 euro (50.000 dollari australiani). Poi andate ad Uluwatu,  in una piccola Homestay chiamata “Villa Mandala” e parlate con il proprietario. Lui vi potrà fornire le carte per chiedere lo sponsor al governo indonesiano e in più vi darà in affitto uno dei suoi terreni dove voi potrete costruire il vostro bed&breakfast o piccolo Hotel.
Camera matrimoniale con ventola: 15 dollari al giorno
Camera matrimoniale con aria condizionata e Wi-fi: 25 dollari al giorno
Aggiungete una televisione e qualche altro confort in più e arrivate a 30-35 dollari al giorno.
Con la benzina che costa 48 centesimi al litro e una cena al ristorante con tanto di antipasto, primo, secondo e dolce a meno di 15 dollari, tutto questo è più che sufficiente.
Vi piace il surf? Andate a sud.
Siete più per lo yoga e la meditazione? Andate al centro verso Ubud.
Visti i tempi che corrono io ci farei un pensierino…

mercoledì 12 giugno 2013

Ma cosa ci fai a Bali?



Tra le sorprese che mi ha riservato questo viaggio c’è stata quella della decisione improvvisa di scappare dall’inverno di Perth per 3 settimane di completo relax a Bali. Il viaggio nella vicina Asia è quasi un must per gran parte dei ragazzi che visitano l’Australia, dove i soldi guadagnati in una settimana sono sufficienti per vivere un mesetto comodo comodo in Thailandia o Indonesia, con tanto di pranzi e cene al ristorante e camera privata.
Ora il problema, dopo una settimana di incredibili comforts che la vita da backpackers risparmioso fa presto dimenticare, è che il relax è tale che prendere in mano il computer per scrivere qualcosa di questa esperienza è veramente faticoso (probabilmente anche perché 4 lezioni di Yoga, tra verticali e sollevamenti acrobatici, si sono fatte abbastanza sentie…).
Davanti al tavolino di questo bar in Gili Trawangan, la più grande del piccolo arcipelago delle Gili islands, tra Bali e Lombok, regioni del mondo su cui molto spesso la geografia nostrana tace,  il cappello di nuvole dell’altissimo vulcano la cui cima Olimpica è spesso invisibile ha già coperto il giorno prima del tramonto e le strane barche indonesiane ancorate a pochi metri dalla spiaggia sembrano nella loro forma particolare ragni in bilico sulla loro ragnatela nel vento.
Bellissime immersioni tra decine di enormi tartarughe marine si nascondo infondo a questo pacifico vortice di correnti che impedisce di raggiungere a nuoto la più piccola Gili Meno, a poco più di due bracciate da qui, ma che come una dolce carezza sfiora la pinne a 18 metri di profondità tra pesci-scorpione, gigantesche aragoste, e le diversissime sfumature di colore e forme del migliaio di pesci che danzano tra i coralli.
Nella sottile linea che separa dalla pigrizia, piccoli e grandi piacere ed emozioni si confondono tra un materasso per lo Yoga, quello del lettino del centro massaggi e i cuscini del ristorante mentre una manciata di riso, uova e verdura grigliata fatica a trovare la via dello stomaco, per l’assenza dell’aiuto della forza di gravità, spaparanzati, come sul divano di casa, sui cuscini e le sdraio del ristorante.
E d’altra parte come non essere in pace dopo la cerimonia sacra nel tempio Indu, così familiarmente a base di aspersioni d’acqua sacra e incensi, il cui ricordo e la benedizione sono impresse nel piccolo gettone metallico appeso alla collanina che porto ora al collo?
Purtroppo bastano dieci minuti di passeggiata in una delle vie principali di Ubud a rovinare in gran parte il relax guadagnato con “tanta fatica”.
“Taxi?!, yes please!” “Food please, come!” “Taxi? Not today, tomorrow maybe?!” “Come in please!” “Scooter?!” “Yes Maybe”… la povera gente che lavora e/o gestisce le numerosissime botique e ristoranti è una continua monotonia di cicale in cerca di cibo, persistente e noiosa, come la voce del rabbino della moschea di Gilli island che per diverse volte al giorno innalza al cielo la sua preghiera stonata, fatta di lunghissime “aaaaaaaaa” e “oooooo” che è probabilmente la causa di tutte quelle nuvole che il cielo usa come tappi per le orecchie, lasciando alla terra la gioia di vibrare degli “Om” del silenzioso respiro degli Yoghis e del coro delle incessanti voci del coro di 100 uomini che accompagnano coi loro incessanti versi le secolari rappresentazioni teatrali del mito di Rama.
Lo so che certi commenti possono essere percepiti come una sfumatura di poco rispetto per diverse culture e religioni, ma le riporto così come il mio cervello occidentale, istruito da tre anni di studio di supposta “bella musica”, interpreta l’impulso elettrico dai padiglioni auricolari, e se le sue interpretazioni risultato a volte un poco ottuse, chiedo scusa a suo nome.
Un certo rigurgito di coscienza, però, sale più facilmente, almeno per me, quando si tratta di contrattare il prezzo di qualsiasi cosa si voglia comprare dalle botiques in Ubud.
Vere e proprie aste quelle ingaggiate tra compratore e commerciante, con spesso prezzi di partenza che partono da meno della metà del valore dell’oggetto da una parte e da il doppio dall’altra. E’ “il normale” gioco tira e molla tra chi ha bisogno di vendere in mezzo ad un mare di concorrenza e chi ha una amplissima scelta con un grande bonus di tempo, denaro e di possibilità per comprare ciò che più gli apre e piace. Basta una semplice mossa, un piccolo passo verso l’uscita, per ottenere sconti incredibili.
Certo una cosa che non ti aspetti è in questa pace e relax beccarti raffreddore, mal di gola, mal di stomaco, mal di pancia e via dicendo, probabilmente, però, a lungo incubate dal freddo e gelo patito durante le notti passate a dormire nel furgone e dalle scatolette di tonno da 90 cents di Coles che per quindici giorni di fila sono state il “delizioso” piatto unico lungo le strade della West Coast. O forse è solo il modo in cui il corpo lascia andare nella calma le diverse tensioni accumulate in un anno. Sicuramente, però, è il miglior modo per attenuare l’invidia di chi è a casa, lontano chilometri, nel sudore della crisi e dell’estate che spero nel frattempo abbia raggiunto, come normale in questo periodo, l’Europa.
Guardando Alina, mia compagna di viaggio per gran parte di questi 300 e passa giorni, penso a tutti quelli che a guardano ogni anno il catalogo delle diverse agenzie di viaggio e che sognano ad occhi aperti di essere sdraiati su una bellissima spiaggia di un’isola tropicale, con accanto un Mojito, la maschera e pinne e una bellissima ragazza.
Beh, certi sogni sono più realizzabili di quanto si pensi…